Il Business Plan e l’arte divinatoria

3 Mar 2023 | Business Plan, Economics

Come limitare la soggettività nella stima degli economics & financials di un business plan

Se qualcuno di voi si è mai trovato a dover analizzare un business plan per testarne la solidità, si sarà chiesto quale fosse la realisticità degli obiettivi indicati e l’attendibilità dei numeri espressi in quel business plan.

Questi risultati si realizzeranno davvero? E nei tempi indicati? E perché proprio questi numeri e non altri, migliori o peggiori? Proviamo a fare un po’ di chiarezza.

Il business plan è un’esplicitazione d’intenti: è la descrizione di un progetto, il racconto di un’idea di business e di come si pensa di realizzarla e svilupparla in un determinato mercato.Lo scrivono gli startupper per la loro idea imprenditoriale ma anche i manager di aziende già avviate che vogliono sviluppare un nuovo progetto in azienda.

Qualsiasi business plan contiene poi gli economics del progetto: costi e ricavi attesi, flussi di cassa e indici di redditività. Sono giustamente ritenuti il cuore del documento, le pagine che ogni investitore vuole subito leggere per capire l’ordine di grandezza dell’affare che sta valutando: quale sarà il fatturato atteso? Quale l’EBITDA, il cash flow, il ROA del business e il ROE dell’investimento?

Per ottenere questi dati è necessario fare delle stime previsionali sull’andamento del business nei primi anni di vita: stimare i costi, i ricavi e il fabbisogno finanziario del business.  Ma quanto sono attendibili queste previsioni?

Ogni scarrafone è bell’a mamma soja

Il dubbio sollevato è lecito e nasce dal fatto che già pensare di fare delle stime riguardanti il fatturato di un business totalmente nuovo (specialmente se parliamo di una start up) che si realizzino puntualmente nel primo anno potrebbe sembrare la dimostrazione di una eccezionale capacità previsionale.

Se poi consideriamo che questo dato spesso è stimato non solo per un anno, ma per 3-5 anni (e alle volte i dati vengono anche “mensilizzati”), allora qui la capacità previsionale rischia di sfiorare l’arte divinatoria e la stima degli economics può risultare un’attività quasi sciamanica. E stiamo parlando solamente dei ricavi, perché poi si devono stimare anche i relativi costi, così da ottenere i margini e i rendimenti del progetto di business.

Ma qui il gioco rischia di diventare incestuoso … in quanto anche stimare correttamente i costi spesso nasconde delle insidie. Infatti, pur assumendo che la stima del costo del venduto (quantomeno a livello unitario) sia realistica (se non so quanto mi costa il prodotto che voglio vendere è meglio che mi dedichi ad altro), spesso vengono sottovalutati i costi operativi: quelli commerciali, promozionali, di comunicazione ecc …

Nella mia esperienza questo avviene alle volte per inesperienza del manager/startupper, altre per “far uscire“ dei migliori numeri nel business plan altre ancora per timore di “spaventare” un potenziale investitore. La conseguenza è che in quasi tutti i business plan il break even point viene raggiunto qualche volta al primo, altre volte al secondo spesso entro il terzo anno, quasi fosse una regola.  Ma poi nella realtà …

Perché succede questo? Cosa porta un imprenditore a esprimere con sicurezza quella che per lui è una buona approssimazione dei numeri futuri di un business che ancora è soltanto un’idea?

L’ottimismo è il sale del business plan?

Ad influenzare il processo previsionale intervengono aspetti oggettivi e soggettivi:

  • Dal punto di vista oggettivo, può succedere che non ci siano informazioni sufficientemente attendibili a livello di mercato, pertanto la previsione si baserà solamente sulle assumptions dell’imprenditori/startupper e su benchmark da loro individuati;
  • Poi entra in gioco l’aspetto soggettivo: chi mai scriverà che la sua idea non farà soldi? Chi non pensa davvero che al massimo entro il 3° anno sarà a break even? Chi non vede una crescita costante e continua negli anni in barba a qualsiasi possibile scenario macroeconomico o pandemico di turno?

A questo punto la frittata è fatta: i numeri di bilancio attesi nei prossimi anni diventano quelli desiderati e il business plan riflette le aspettative più rosee (anche in caso di scenari worst e best che vengono comunque ancorati allo scenario medio atteso …).

Se l’ottimismo è il motore che spinge un imprenditore a portare avanti con successo la sua idea nonostante le difficoltà che può incontrare (ed è un punto di forza), esso può diventare il fattore che tende a gonfiare le aspettative e quindi i risultati attesi a livello di economics.

Questo è il nocciolo della questione. Gli economics di un business plan hanno un valore limitato dalla soggettività con cui si stabiliscono le assumptions alla loro base, e non si è mai visto uno startupper o manager pessimista nel valutare lo sviluppo futuro della sua idea (e per fortuna, aggiungerei).

I numeri previsionali così definiti sono poi difficili da confutare, a meno che non si abbiano validi riferimenti in termini di dati di mercato per prodotti/servizi analoghi, ma se questi non sono disponibili o se la startup è innovativa siamo punto e a capo. E anche se il business non è nuovo, chi ci dice che il futuro sarà uguale al passato?

Inoltre, le previsioni iniziali hanno un “effetto ancoraggio” che ne influenza i giudizi successivi. Tuttavia, i numeri sono il convitato di pietra di ogni progetto di business, e in particolare per una start up. E allora cosa si può fare? Come uscire da questa impasse?

È presto detto: testando gli economics e stimando correttamente i financials!

Testare gli economics

Il primo passo per uscire dall’impasse della soggettività e dal rischio dell’ancoraggio sta nel verificare la solidità della business idea/del progetto. È dalla sua solidità che dipende il successo dell’impresa (e poi, certamente, dalla capacità di realizzarla, ma questo è un altro tema).

Questo vale sia per chi vuole avviare una start up ma anche e soprattutto per i manager che hanno, per la propria azienda, progetti di crescita e sviluppo che richiedono forti investimenti e che presentano alte componenti di rischio legate all’incertezza. Ma come valutare questa solidità?

Di solito, per testare la solidità di una cosa bisogna provare a romperla…

Ecco come uscire dalla soggettività: bisogna provare a distruggere la business idea, a smontare il modello di business per trovarne le possibili falle, a stressare le assumptions relative ad ogni singola variabile per andare oltre il semplice “worst case e best case” e lavorare su più scenari, non per forza parametrati su quello “atteso”.

Per riuscirci è necessario mettere in discussione le proprie più profonde convinzioni riguardo al progetto per trovare differenti punti di vista, senza chiudersi nel convincimento che l’idea sia vincente solamente perché ci piace.

Ci sono molti metodi per fare questo crash test, ma al di là del metodo utilizzato è fondamentale avere quell’onestà intellettuale che permetta di vedere le cose senza i filtri dei nostri pre-giudizi.

Solo sviluppando un’accurata conoscenza dei pregi e difetti del progetto – grazie al fatto che sono state messe alla prova le assumptions – è possibile valutarne la solidità e la capacità di cogliere le opportunità individuate nel business plan.

Arrivati a questo punto si possono finalmente stimare i “numeri” previsionali (costi e ricavi), che saranno meno soggettivi ma che dovranno comunque dimostrare la loro solidità di fronte ai molteplici scenari individuati in base alle assumptions.

Tutto a posto, dunque? No.

Mi spiace dirvi che tutto ciò potrebbe non bastare per trasformare l’idea – pur solida perché testata – in un successo: la solidità di una business idea non garantisce di per sé che i numeri stimati si realizzino per davvero e nei tempi indicati.

Il lavoro di crash test fatto sul modello di business e sulle assumptions è stato come testare la resistenza del motore di un’auto, ora bisogna vedere se c’è benzina a sufficienza per farlo viaggiare ai ritmi pianificati e raggiungere la prima tappa: il break even point (BEP).

La benzina di un business

Nel 1997 venne quotata al NASDAQ una start up nata appena due anni prima, che distribuiva libri a domicilio e CD ordinabili on line e che nel suo business plan non prevedeva utili prima di 4-5 anni. Era Amazon, e ha raggiunto il break even dopo 7 anni …

Spotify ha un tasso di crescita del fatturato a doppia cifra però non ha ancora prodotto un EBITDA positivo, e sono passati 9 anni…

Come sono riuscite a diventare aziende di successo?

Senza entrare nel merito del modello di business, possiamo sicuramente affermare che entrambe hanno goduto (o stanno godendo) del necessario sostegno finanziario in attesa di produrre cash: in altre parole, il loro motore ha avuto carburante sufficiente per giungere fino alla prima tappa (il BEP) in tempi superiori a quelli previsti.

Quindi, la benzina di un business sono i mezzi finanziari (leggi cash) necessari per portarlo avanti.

REGOLA

“Un progetto ha successo solo se ci sono i soldi necessari per finanziarlo fino a portarlo a quella dimensione critica che gli permetterà poi di autofinanziarsi”.

COROLLARIO

“Se non ci sono soldi a sufficienza è meglio lasciar perdere e non sprecare risorse, o sperare che le cose vadano meglio di quanto previsto. Ma chi vive sperando muore cantando”.

Stimare i financials

Eccoci così al secondo aspetto fondamentale nella stesura di un business plan: stimare correttamente quante risorse finanziarie serviranno per arrivare al break even point.

Nel business, secondo la mia esperienza, vige una regola: se vuoi crescere (e guadagnare) devi prima investire (e spendere).

Purtroppo, spesso questa regola viene sottovalutata anche perché entra in gioco l’aspetto soggettivo dell’imprenditore/manager/startupper che già abbiamo visto nel precedente articolo: c’è chi sottostima il fabbisogno per eccesso di ottimismo o perché si àncora ad una soglia psicologica di riferimento su quanti soldi servano “genericamente” per un business.

E così può capitare che il ragionamento fatto sia il seguente:

“so che mi serve più denaro di quanto ne sto dichiarando. Però se ne chiedo troppo magari non mi finanziano/non approvano l’idea. Quindi faccio l’ottimista, sto basso nei costi, tanto l’importante è partire. E poi sono sicuro che i risultati arriveranno …”

Le ultime parole famose …  Ma come stimare correttamente il fabbisogno finanziario?

La parte relativamente più facile riguarda la stima dei costi di industrializzazione/sviluppo del prodotto/servizio, che di solito sono l’aspetto maggiormente analizzato da chi scrive il business plan. Più complesso, invece, è stimare i costi operativi nel corso degli anni, in particolare quante risorse serviranno a livello commerciale, di marketing e comunicazione per mettere in piedi gli sforzi necessari a raggiungere gli obiettivi indicati.

Per farlo bisogna ricollegarsi al lavoro precedente di “stress test” delle assumptions e per ogni scenario ipotizzare un solido piano commerciale basato sul modello di business e sui canali precedentemente individuati. Non, dunque, un semplice elenco del fatturato atteso negli anni, ma un’analisi dettagliata dello sforzo commerciale necessario, delle relative risorse e della adeguata struttura organizzativa a supporto.

Per fare questo ci vuole una profonda conoscenza delle dinamiche di vendita e di sviluppo commerciale di un business che permetta di fare scenari realistici e stimarne i relativi sforzi e costi (per fortuna che esiste la consulenza!!).

Concludendo

L’idea “vincente in sé e per sé” non esiste. L’idea è vincente quando la si riesce a trasformare in un business solido, redditizio e appetibile. Per farlo, non basta scrivere un bel racconto nelle pagine descrittive iniziali del business plan ma bisogna:

  1. Testarne la solidità
  2. Costruire un valido e realistico piano di sviluppo commerciale
  3. Stimare il corretto fabbisogno finanziario derivante

Perché ricordiamoci che se le parole incantano, i numeri non mentono.

Lorenzo Tomadini – Senior Business Consultant and Trainer

Mi chiamo Lorenzo Tomadini e da oltre vent’anni mi occupo di consulenza e formazione manageriale per le aziende del settore industriale, retail e dei servizi che vogliono incrementare le performance del proprio business, sia in termini di maggiore crescita che di migliore controllo.

Nel farlo, intervengo sullo sviluppo delle vendite, sull’efficienza delle operations, sulle skill manageriali e sui comportamenti delle persone.

Lavorare per aziende di differenti settori e dimensioni mi ha aiutato ad affinare il business acumen: la visione strategica del business, la capacità di analisi e di pianificazione e il focus sull’attuazione sono i miei punti di forza, riconosciuti dai clienti insieme alla capacità di personalizzare ogni intervento in base alle caratteristiche del loro business e della loro impresa.

Non da ultimo, l’attenzione agli aspetti psicologici e comportamentali delle persone mi permette di aiutare i clienti anche nella fase dell’attuazione dei piani, laddove l’aspetto umano e relazionale sono fondamentali per il successo.

 

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